Il “Sole” e le stagioni dell’Isola
di Carmelo Briguglio | 6 Luglio 2021Qualche osservatore sorride di questo ricorrere della metafora contadina nel linguaggio del presidente della Regione. Ridotta all’osso: seminare e poi raccogliere. In fondo l’Isola è madre e figlia di Verga e Pirandello e del mondo rurale che descrivono: dall’eterno ritorno delle stagioni e dai gesti vitali che le accompagnano, Nello Musumeci, politico conservatore, ne è influenzato: è l’essenza dei suoi “minima moralia”. Solo che oggi tutti comprendono che questa minuta filosofia funziona: dinanzi alla scalata del governatore nella “Governance Poll” del Sole 24 Ore, anche scettici e “anti” hanno dovuto prendere atto che il raccolto c’è e ha un riconoscimento indipendente. Evidentemente, c’era un seminato serbato di cui aveva idea esatta solo il presidente; e se al mercato della politica ora il risultato brilla, il merito è della sua squadra, ma soprattutto suo. Un successo, in gran parte personale, che sorprende solo chi non conosce il governatore e la sua caparbietà, che a volte scivola in durezza di rapporti e comportamenti; il che è comprensibile, dinanzi all’emergere periodico di scogli sommersi e pozzi avvelenati lasciatigli in eredità da chi lo ha preceduto e da sempiterne burocrazie. Il report del Sole 24 Ore si presta a tante interpretazioni, per lo più di segno ottimistico. Qualcuna, eccessiva, ha trovato facile spazio nel silenzio imbarazzato delle opposizioni e di qualche scalciante alleato. Ma un dato obiettivo, politico e sociale, si può estrarre; che è anche una lezione per la comunità siciliana: non c’è mai iato tra classe dirigente e cittadini; oggi la Sicilia nella percezione del mondo esterno è Musumeci. E viceversa. I suoi successi e le sue cadute sono letti “fuori” così. Gli “altri” non fanno differenza.
Come non la facevano al tempo dell’esecutivo a guida Pd: tutta l’Isola era incatenata, al giudizi sprezzanti che venivano dall’ esterno – sociale, culturale, mediatico – nei confronti di Rosario Crocetta e dei suoi cinquanta assessori che si alternavano in un’esperienza di governo che toccò e ci fece toccare il fondo. Ecco perché questo nostro risalire dalle bassure della graduatoria delle amministrazioni del territorio ha un valore in sé, oltre i confini del politico: dà l’idea che la Sicilia è cresciuta; e riga la differenza con gli anni bui di cui nessuno ha nostalgia o auspica riedizioni rivedute e corrette. Una scelta errata quella dei siciliani nel 2012, che abbiamo tutti pagato in termini di qualità della vita, di immagine e di fiducia in noi stessi. Chi crede nella democrazia politica, crede anche nei suoi limiti e in una cosa vera che non si dice mai: anche il popolo prende abbagli; il cittadino-elettore non è il cliente che ha sempre ragione, può sbagliare. È ciò che accadde nel 2012. Solo che in democrazia non si sbaglia per sempre e dopo cinque anni l’elettore-giudice può correggere l’errore: è quello che è avvenuto nel 2017 con l’elezione del nuovo presidente della Regione. Adesso bisogna fare tesoro della lezione: occorre fare finire il lavoro, incoraggiare chi lo sta facendo. Sarebbe esiziale interrompere questo fluire positivo. O frapporre ostacoli politichesi. E, ancor più, girare la testa all’indietro, a un passato che ha causato disonore e sofferenza. Musumeci ha la legittimazione morale e politica di continuare la sua mission di governo, entro e oltre questi cinque anni. Dobbiamo farlo continuare; dobbiamo andare avanti. Sulla retta via.
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