Musumeci e i partiti (con l’Ars ridotta a suk di Miccichè)
di Carmelo Briguglio | 20 Marzo 2022Sono abbastanza “antico” per non sapere come alcuni presidenti della Regione, predecessori di Musumeci, trattavano le forze politiche, a partire da quelle della propria maggioranza. C’è chi non le considerava nemmeno: teneva rapporti privilegiati con i singoli, assessori ed eminenze grigie, che gli assicuravano il controllo sul “loro” partito. Nulla di ufficiale, per vie interne. C’è chi li divideva, gli portava discordia dentro, organizzando una squadra di fedeli a lui e non al partito e alla sua leadership. Come? Foraggiando le proprie quinte colonne contro i legittimisti, leali alle appartenenze. C’è stato a Palazzo d’Orleans anche chi la coalizione umiliava e controllava, imponendo nei “gabinetti” assessoriali una quota di persone che rispondevano solo al Presidente; a lui riferivano tutto ciò che accadeva, ciò che faceva l’assessore: chi riceveva, chi incontrava, come operava. Spie, per dirla con esattezza. Ci fu pure un tempo in cui il governatore esercitava il controllo millesimale del potere: i millesimi erano, non solo le nomine o la scelta dei direttori, lo erano persino i trasferimenti di custodi e uscieri. In tutti i rami dell’amministrazione. Niente escluso, ai confini del maniacale. Sulla testa dei capi politici. Tutto registrato nel libro mastro, da aprire al momento delle elezioni; in ogni consultazione, anche dei quartieri, o del paesino più sperduto nell’Isola. No, non è questione di segreteria o di apparati (anche): i registratori di cassa di favori e clientele erano le loro teste: menti allenatissime a tenere a memoria nomi, facce, luoghi, “cortesie” grandi e piccolissime, fatte a questo, a quello. Meno addestrate a governare nell’interesse generale. A seminare e coltivare progetti e cantieri. Per i siciliani, tutti: di destra, di centro o di sinistra. Come lo è, invece, la testa – in questo dura, oltre ogni ragione e convenienza – di Musumeci.
Ci fu anche l’età del governatore pro-forma e dei partiti comprati e venduti; comandava una ditta individuale, o una società a due, fate voi – ammanigliata con i Palazzi di giustizia e padrona di politici, magistrati, poliziotti, aziende. Il governatore? Una Marionetta che avevano messo a Palazzo. Macché partiti: comandava una filiera di impresari e “muratori”. Sì, certo, l’arrivo di Nello, fu un trauma. Una “rupture”. Per stile, etica, metodi, ritmi forsennati di lavoro. Ma di ciò abbiamo già detto. Voglio aggiungere, invece, qualcosina sul suo rapporto con i partiti. Non scontata. Il presidente “fascista”, rigido, inflessibile, in realtà con i partiti é stato aperto, corretto, disponibile. Rispettoso delle leadership nazionali, sempre pronto con quelle regionali, accogliente con i ministri di tutte le stagioni, ammodo con i “colleghi” onorevoli, anche con i lontani; solidale e scudo volontario di tutti i suoi assessori, di qualsivoglia partito: grida in privato e copertura in pubblico; diciamo la verità: anche quando non avrebbe dovuto e quando avrebbe potuto scaricarne alcuni per incapacità ed errori, talvolta marchiani. Avrebbe fatto meglio a rispedirli ai mittenti che glieli avevano designati. Il dato è: con l’attuale presidenza della Regione i partiti hanno avuto ruolo, nel giusto. I partiti, non la partitocrazia. Le idee, le scelte politiche, la collegialità, il riguardo per la funzione; non gli affari, la minutaglia di scambi e protezioni, il misero e vecchio modo di “fare politica” che non vuole tramontare. E forse, per i soliti noti, questo è il vero punto: ciò che li divide dall’attuale governatore. Musumeci leale e generoso negli anni lo é stato con tutti ma, più che con ogni altro, con l’attuale capoccia di un’Ars ridotta ormai ad arena di giochi indecorosi; il cambio di presidenti di commissione in fine legislatura, insieme – badate bene – a una norma per bloccare le nomine del governo, nel medesimo tempo e contesto, rappresenta – del merito mi frega poco – il massimo simbolico di contraddizione in questa mistura indecente della doppia veste di Gianfranco Miccichè: quella di presidente di un’assemblea ridotta a suk mediorientale e quella di capataz, contestato e dimezzato, di una parte politica. Di avvelenatore dei partiti altrui; e distruttore del suo, ormai ridotto a un cumulo di macerie.
Ma tant’è. Ai pezzi pazzi di questa morente stagione della politica siciliana, ci siamo abituati; alle sue maschere ingrate immemori, anche. I rancori fossili e le bassure istituzionali – con protagonista l’opposizione, mai così eterodiretta e svilita nella sua missione – non ci sorprendono più. Ma il presidente-gentiluomo ne prenda buona nota. Da subito. E per il tempo che verrà. Non é mai troppo tardi. Nemmeno adesso.
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