Ciminiere di popolo per Musumeci: il presidente si candida e alza le vele. Miccichè isterico.
di Carmelo Briguglio | 22 Novembre 2021La più grande manifestazione politica in Sicilia dopo lo scoppio della pandemia. Questa è stato l’evento delle Ciminiere, sabato scorso a Catania. Migliaia di persone: non è facile radunarle, oggi. In tempi di virus e di social. È un dato politico? Certo. Di prima grandezza. Che consacra la candidatura del presidente uscente, dinanzi a donne e uomini in carne e ossa. Davvero tanti.
Una questione ormai chiara. Musumeci ha esercitato il diritto di ricandidarsi: un diritto in re ipsa, nelle leggi non scritte della politica, da ultimo riconosciutogli dalla stessa Giorgia Meloni. Miccichè, ne è irritato, sconvolto, fino al punto di mettere un veto alla partecipazione all’evento di due assessori di sua obbedienza (su quattro di FI, una debolezza); se ne dovrà fare una ragione, se non vorrà continuare a mal vivere la sindrome del Palazzo che gli ha preso ormai la testa annullandogli ogni razionalità. E – detto sottovoce – dopo questi anni, sarà un’impresa recuperare il pubblico rispetto per l’alto ruolo di guida dell’Ars, mai abbassatosi così tanto, nella lunga storia del Parlamento siciliano. Ma tant’è. Tre punti da osservare, sull’ircocervo che è stato la prova oratoria di Musumeci, a metà strada tra una relazione e un discorso. Il primo è il perfezionamento del suo dire che anticipa la comunicazione del centrodestra. Il “governo precedente” è e sarà d’ora in avanti “il governo di centrosinistra”. Non solo e non tanto il “governo Crocetta”. Un modo per mettere spalle al muro la classe dirigente del Pd che ne fu partecipe: non solo chi la guidò, ma anche i Barbagallo, i Cracolici, i Gucciardi che furono assessori e protagonisti di quella disastrosa amministrazione, di cui oggi la sinistra si vergogna; e con loro, gli onorevoli di quella maggioranza. Il M5S, approdato all’alleanza con i vituperati dem, sarà la seconda vittima della “no cancel culture” del governatore. Il secondo. Musumeci ha rinunciato al velleitario duellare con l’Ineffabile Assoluto Futuro e ha aderito a un realistico e comprensibile confronto col Relativo Concreto: i cinque anni precedenti. Ha scelto lui il terreno su cui giocare la partita con gli avversari. Che è quello dell’accostare i risultati del suo governo, a quelli del “governo precedente”: fatti contro fatti, dati contro dati, numeri contro numeri. È corretto così. Perché tra rabbiosi, imbonitori e cantanti, la gente ha bisogno di un orizzonte pulito, di un metro di giudizio semplice. Occorre una lavagna su cui scrivere ciò che è stato fatto adesso e ciò che (non) è stato fatto nella legislatura prima: campo per campo, settore per settore. In gestione e qualità della vita. Musumeci lo ha fatto, con un intervento corposo, non palloso: facendo la sintesi della sintesi. Se così non avesse fatto, avrebbe annoiato; ha invece interessato tutti, anche coloro che erano venuti senza tessera in tasca: per capire meglio. O per mettere alla prova un’adesione pensata, una simpatia. Dallo zibaldone di raffronti impietosi che Musumeci ha predicato – fingendo di rifiutarli: “con chi devo confrontarmi?” – estraggo un solo dato. Un dato- metafora che è radicato nella comune conoscenza dei siciliani, ha urtato per decenni la loro sensibilità: la Sicilia ha fame di infrastrutture e lavoro e voi mandate i soldi indietro all’Europa? Una maledizione. Giusta. Benedetta dalla ragione. E dal bisogno. Ecco: il “governo precedente”, nei suoi anni 2012-2017, utilizzò solo 8 milioni di euro di fondi europei; l’esecutivo Musumeci si avvia a superare i due miliardi. Cento per cento dell’avuto. Otto milioni contro due miliardi. Impareggiabili: misurano la distanza tra le stelle e gli strapiombi del governare. In ultimo: vinco io, vinciamo tutti. Vince l’insieme: Io presidente, con voi assessori, con voi partiti, con voi deputati e comunità politiche della coalizione. Con voi, siciliani. È un chiamarsi fuori da una solitudine, dall’ accusa di solipsismo politico. Un messaggio di coesione al centrodestra: il valore vittorioso del Coro. E i pericoli del contrario. Musumeci ha alzato le vele. Così. E dalla Torre Pisana si è levato un vocino querulo. Isterico. Incompreso e incomprensibile. Povero di ragione politica. E di lealtà. Inutile.
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