Miccichè tra Peter Pan e Malacoda
di ca.brig | 21 Ottobre 2021È fatto così. Un po’ per natura, un po’ per ammuìna. Di Gianfranco Miccichè, c’è poco da capire. Agisce per metà d’impulso. Lo prende, irrefrenabile, il dàimon di fare: una qualunque cosa slegata da ogni ragionamento, spesso dalla stessa ragione. Volete capire? Tutto inutile. Nelle giornate “no” e pure in quelle “sì”, non lo sa nemmeno lui, perché ha detto quella cosa o ha fatto quell’altra. Ma gli altri non sanno che lui non lo sa. E si smidollano a dare una lettura politica a cose che sembrano – e spesso sono – senza senso, senza capo nè coda. È come il quadro di un pittore a cui viene data una spiegazione che l’artista non si era mai sognato di dare e magari, a posteriori, l’autore ratifica e legittima con qualche cenno o allusione. A lui fa gioco giocare a questo periodico trastullo, a dispetto di ponderosi pensieri che occuperebbero la testa di chiunque altro fosse gravato delle sue responsabilità: parlamento o consiglio che sia l’Ars, sono sempre belle pesanti.
È che questa giocherìa lo distende, gli esalta il cuore di sempreverde Peter Pan alla ricerca dell’isola che non c’è, da maestro di palazzo dell’isola che c’è: carica di problemi sui quali ci sarebbe poco da baloccarsi. Si può spiegare così il suo andirivieni dalla testa ai piedi di qualunque idea, dichiarazione, ancora peggio, accordo o intesa; persino impegni e promesse prendono le strade inconoscibili delle palline nei vecchie macchine da flipper. È la parte dionisiaca del personaggio. Non ci perdete tempo a capire, non chiedetegli spiegazione alcuna: lui non la conosce. Restate con i vostri dubbi e le vostre equivoche esegesi, tenetevele. Consideratele in modo allegro e simpatico – nell’uomo c’è pure questo, per fortuna – e conviveteci. Poi, c’è l’altra fifty della questione. Razionale, eccome. Che è espressione di astuzia, di sregolatezze studiate. Di diversivi e artifizi progettati
a tavolino. È l’imprinting di Publitalia e del suo antico dominus. È l’uomo della trattativa scompigliata da irruzioni fuori registro; del pacta sunt servanda, ma non troppo. Di incontri imprevisti, di vertici con i lontani, per fare temere vicini e alleati, di patti mai troppo stretti, di percorsi stralciati e stracambiati. È l’incoerenza coerente a uno scopo, a un interesse che sa già dove va a parare. Uno su tutti: non perdere la scena nel confronto con l’inquilino che governa il Palazzo di fronte al suo. Che è il suo opposto. Per stile, estetica, visione, a cui contrappone inconsapevoli filosofie situazioniste. Lui rompe e ricuce, spacca e si scusa, dice sì presto sostituito con un no. Questo è fatto apposta per disorientare l’avversario, che è sempre l’alleato, quasi mai l’occupante della sponda opposta. Tutti i nemici di Nello Musumeci sono suoi amici: si può riassumere così. Se li coccola, li nutre, li incoraggia, fa vedere pure a loro la luna nel pozzo e gliela offre a buon mercato. Intanto voi lo guardate, seguite, leggete. E vi ha stupito ancora e vi grattate la testa per intravedere il segreto disegno. Che c’è ed è uno solo: non tramontare e tornare a sedersi dov’è e basta.
Aveva un altro sogno, ogni tanto il diabolus che lo alberga, glielo sussurra all’orecchio. Gli suggerisce di vestire i panni del draghetto dell’Isola. Per trasferirsi lì di fronte. Ma ora il suo Malacoda gli ha portato disastri vestiti da risultati elettorali.
Basta, robe innaturali con chi ha l’encefalo piatto, gli ha gridato. E ha cacciato il diavolino dal Sè. Giurando di nuovo amicizia al suo dirimpettaio. Ma non per sempre. Giurateci.
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