La metamorfosi di Cancelleri, politico mutante che sogna di fare il Draghi di Sicilia (e fa scappare il sorriso)
di Matilda De Vita | 31 Luglio 2021Giancarlo Cancelleri, è in piena mutazione genetica: il gergo più usato dal sottosegretario grillino, quando tale non era ancora, fu “onestà”, “non contaminarsi con gli altri”, “noi e gli altri”. Lessico che mirava dritto alla pancia della gente: immagine intransigente e iper-giustizialista per agitare militanti in visibilio plaudente. È passata molta acqua sotto i ponti. Dopo la sconfitta bruciante alle regionali scorse e il periodo all’opposizione in Ars, iniziò la mutazione governativa, nei ministeri Conte e Draghi, prima da viceministro, poi retrocesso a sottosegretario. Un cangiarsi senza pudore sotto gli occhi di tutti.
Prima la tresca giallo-verde con la Lega, andata in fumo, poi il connubio col Pd, e ancora il M5S che ingoia nel governo Draghi di nuovo Salvini, ma stavolta in cocktail insieme allo psico-nano Berlusconi – come lo chiamava Grillo, ora non più da molto tempo – e ancora il Pd, il partito di Bibbiano: Cancelleri è la proiezione di questa metamorfosi. La base pentastellata, per non parlare di tanti ex elettori che hanno abbandonato il partito, lo reputano il perfetto prototipo – il modellino dicono alcuni – di questo stravolgimento di se stessi. Dello scambio tra anima e potere. Basta fare una panoramica sulla rete: non si contano i post contro il Giancarlo duro diventato morbido, il rigido diventato flessibile; e i suoi giravolta, uno su tutti: gli altri “impresentabili” oggi ribattezzati da lui “le forze migliori” con cui allearsi alle prossime regionali. Siamo allo scherno. Ed è solo l’inizio. C’è da immaginare cosa accadrà in campagna elettorale. Anche nel centrodestra è pronta una batteria di comunicazione dura, giustificata dagli eccessi passati del candidato sconfitto da Musumeci. Cancelleri si era spinto a redigere le liste di proscrizione dei “cattivi politici siciliani” di centrodestra, secondo il il metro di valutazione della faziosità. Rilasciava persino patenti di agibilità politica da giudice monocratico, con fare da molti censurato come sbirresco e arrogante. Ora, l’uomo di Di Maio in Sicilia, di tanto in tanto, scatena il caos nella base grillina con improvvide dichiarazioni che cozzano con altre rilasciate qualche anno prima: il risultato è che la stessa opinione pubblica si sta facendo un’idea non lusinghiera di lui. E anche dei Cinque Stelle. Sul web, prima delizia e ora croce del mondo pentastellato, gli rimproverano il “si” al Ponte dopo anni passati a dire “no”; l’occhiolino a Miccichè, non più uomo di Dell’Utri, come andava dicendo; e in questi giorni l’ideona del “modello Draghi” in Sicilia, ultima sua trovata.
Una proposta campata per aria in una regione dove non c’è nessun uomo della statura dell’ex governatore Bce, tantomeno da contrapporre a Musumeci, a parte ogni altra considerazione. Salvo che non aspiri lui stesso a fare il Draghi isolano, come vuole dare ad intendere. Idea al di fuori della stessa ragione, che è difficile commentare senza un sorriso.
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